Non era mai successo negli ultimi 75 anni. I vescovi dissotterrano la mitria di guerra e lanciano la sfida allo Stato italiano nella figura istituzionale del suo Governo; anzi, come Brenno, capo dei Galli Senoni nel 386 (?), gettano il loro pesante pastorale sulla bilancia e impongono le loro condizioni imperative: «Ora basta!… Esigiamo l’apertura delle chiese». Non era trascorsa nemmeno un’ora dalla comunicazione del Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, segno che erano già armati da tempo. «I vescovi non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto». Oh, Dio! Parole grosse. A Genova qualcuno ha scomodato perfino l’art. 7 della Costituzione: «Lo Stato e la Chiesa, ciascuno nel proprio ordine, sono indipendenti e sovrani». Alla crociate episcopale, cui manca solo il grido di guerra «Deus ‘l vult!», si accodano l’Avvenire, giornale dei Vescovi medesimi – ça va sans dire –, Italia Vivacchia di Renzi – e come no! – e poi tutta la destra del cucuzzaro. In una parola tutti coloro che se ne fregano della Messa domenicale, oggi sono paladini della difesa della domenicale Messa; gli stessi che difendono la famiglia cristiana insieme al loro dio e alla patria, dall’alto delle loro esperienze plurifamiliari e divorziate. Amano tanto la Messa da tenerla a distanza per non sciuparla e la famiglia da averne due o tre. Di fronte a codesta compagnia virale, i vescovi tacciano. Sorvoliamo…